Approfondimenti e spunti per far crescere il tuo business.
I pagamenti dematerializzati, fatti senza l’uso di banconote o monete, si sono già presi la metà delle transazioni italiane. Nel 2019 corrispondevano al 43,5% del totale transato, e nel 2020 l’accelerazione digitale indotta da lockdown ed emergenza sanitaria ha dato un’ulteriore spinta, ben oltre i 200 miliardi di euro raggiunti già nel corso del 2018.
Non tutti i pagamenti digitali, però, sono equivalenti. Carte di credito e di debito, bonifici e app che si appoggiano su questi stessi sistemi hanno sì un meccanismo di funzionamento digitale, ma di fatto si basano pur sempre su un istituto di credito o su una banca. In altri termini, c’è la dematerializzazione, ma restano sia il denaro fisico equivalente sia un istituto che garantisce la transazione stessa. Molto diverse, invece, sono quelle forme di pagamento che si presentano come totalmente digitali, in cui non esiste più la banca che fa da intermediario e non esiste più il denaro fisico equivalente, ma ci sono solo codici, bit e software.
Di quest’ultima categoria fanno parte soluzioni come il dollaro digitale proposto al di là dall’oceano Atlantico, lo yuan digitale a cui sta lavorando la Cina e una serie di altre proposte che arrivano dai big del comparto tecnologico, come per esempio Libra targata Facebook. In questo filone si inserisce, per l’Unione Europea, l’ipotesi sempre più concreta di un euro digitale. E poi, infine, ci sono le criptovalute come Bitcoin ed Ethereum, che però non prevedono nemmeno la presenza di uno Stato o di una multinazionale a garanzia e vigilanza del sistema di funzionamento.
Perché l’euro digitale è importante per i pagamenti cross-border?
Il vantaggio di una moneta completamente digitale per le transazioni internazionali è evidente: dall’e-commerce fino ai pagamenti business-to-business, tutto diventerebbe istantaneo e semplificato, proprio come se si trattasse di un’operazione nazionale. Il tema, però, è che per i flussi tra un Paese e l’altro la concorrenza presente sul mercato è già tantissima. Da soluzioni come Libra, che nasce proprio con l’intento di diventare una valuta mondiale per far pagare tutti con un sistema unico, si arriva fino alla competizione con gli altri Paesi, perché naturalmente quello dei pagamenti internazionali è un settore senza confini geografici e che può riscrivere gli equilibri geopolitici.
Cina e Stati Uniti si pongono in questo momento come i due principali attori del settore, ma l’Europa non vuole né può restare a guardare. Ne è prova il rapporto sull’euro digitale pubblicato lo scorso 2 ottobre a firma di Christine Lagarde e Fabio Panetta: la moneta continentale unica non può attendere oltre per la sua versione digitale, anche se all’atto pratico il passaggio dalle dichiarazioni d’intenti all’effettiva adozione non è semplice né scontato.
Facili ottimismi, ma anche rischi
Se il beneficio dal punto di vista della sicurezza sanitaria è comune a qualunque forma di pagamento dematerializzato, la prospettiva dell’euro digitale apre anche a una serie di altri vantaggi, soprattutto per i singoli individui. Svincolandosi dagli istituti di credito, ogni cittadino sarebbe automaticamente al riparo da fallimenti bancari e blocchi dei fondi. Non ci sarebbe più la necessità di registrarsi presso una banca, e anche lo Stato potrebbe distribuire soldi ai cittadini (per sussidi o altro) direttamente, senza bisogno di inserire intermediari nella filiera. E poi verrebbero meno – o si ridurrebbero di molto – i costi dovuti agli intermediari stessi, arrivando persino al totale azzeramento delle commissioni, che secondo la Banca Centrale Europea resta uno scenario plausibile. Infine, ma non per importanza, il denaro digitale potrebbe avere un risvolto positivo in termini di impatto ambientale, eliminando tutto ciò che va dal POS alla movimentazione del contante, dallo stampare banconote agli sportelli ATM.
Tutto rose e viole, quindi? Nient’affatto. L’eventuale euro digitale, al pari delle altre monete dello stesso tipo, sposterebbe la funzione di custodia del denaro dalla banca alla singola persona. Ciò significa, in altri termini, che ognuno sarebbe l’unico responsabile dei propri fondi, e in caso di smarrimento password, di attacco hacker, di rottura o furto dei dispositivi fisici, di transazioni ereditarie e di mille altre eventualità non ci sarebbe nessuno a garanzia del denaro. L’altro grosso problema riguarda la riservatezza, perché l’euro digitale dovrebbe essere o anonimo o associato al suo possessore: se nominale, creerebbe problemi legali e socio-politici, e se anonimo porterebbe con sé tutte le criticità che oggi hanno Bitcoin e alternative varie, ossia problemi di riciclaggio e traffici illeciti.
Un rischio ulteriore deriva proprio dal sistema delle banche. Private del proprio ruolo di custodi del denaro e delle transazioni, avrebbero certamente meno ricavi. Ma non è solo una questione di business: la minor disponibilità delle banche stesse, associata pure a un fisiologico calo dei depositi, ridurrebbe la propensione al prestito, e renderebbe molto più complesso poter ottenere mutui o finanziamenti. E le conseguenze di uno scenario come questo non possono essere ignorate.
A che punto siamo?
Per farla breve, siamo alle dichiarazioni di intenti. Da un lato è certamente lodevole che l’Unione Europea, e in particolare la BCE, si sia mossa tempestivamente cercando di non accusare già in partenza troppo ritardo rispetto ai competitor internazionali e aziendali. È indubbio, infatti, che il nuovo trend delle monete digitali avrà un impatto mastodontico sui sistemi di gestione dei flussi finanziari già nel giro di pochi anni. Dall’altro lato, però, la strada da percorrere pare essere ancora molto fumosa, per il momento.
Non è chiaro, infatti, se la versione digitale dell’euro sarà concepita per privilegiare la privacy dei cittadini (ossia senza intermediari) o la sicurezza e la legalità (quindi con intermediari), e ovviamente questa scelta fa moltissima differenza in termini operativi e applicativi. Ancora tutto da stabilire è il ruolo delle banche in questo contesto, e al momento siamo nella fase della raccolta di idee e pareri tramite consultazioni, pubbliche e istituzionali.